Auguri di una felice vita

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di Enrico Marone

Quello che avete in mano è il n. 25 di Vivere Sostenibile, se contassimo gli anni sarebbe un quarto di secolo, ma la nostra storia inizia con il primo numero nel marzo 2016. Quindi sono quasi tre anni che portiamo informazione, conoscenza, idee, progetti nelle province di Biella, Novara, Verbania e Vercelli. Un periodo di lavoro intenso, interessante, faticoso, entusiasmante che ci ha permesso di conoscere una parte di voi cari lettori e molte attività. Siete tanti e ci date il vostro appoggio, spesso ci chiama qualche punto di distribuzione verso fine mese (o bimestre) perchè voi lettori volete sapere se il nuovo numero è già uscito. Grazie per il vostro interesse. L’ultima stima, sommando la versione cartacea a quella digitale (web, email, social, newsletter) è di circa 30.000 lettori. Persone interessate, sensibili e spesso impegnate in attività vicine ai temi che trattiamo. Usando un termine tecnico, un “pubblico selezionato”. Una platea ideale alla quale far conoscere prodotti naturali, servizi olistici, progetti solidali ed etici, appuntamenti sociali e culturali, ecc… quindi fare pubblicità mirata e diretta, appunto, ad un pubblico scelto e attento e quindi più ricettivo.
Come sapete, Vivere Sostenibile Alto Piemonte è una rivista gratuita, ma non essendo un ente di beneficenza i costi per la stampa, distribuzione e lavoro delle persone, dovrebbero essere coperti dalla pubblicità delle attività produttive e commerciali del territorio. È un discorso logico e razionale, che funziona in tante altre esperienze e che avrebbe portato vantaggi a chi opera sul territorio e a noi avrebbe consentito di continuare a pubblicare la rivista, che piace e viene letta volentieri. Purtroppo non è andata così. La presenza pubblicitaria è stata sempre molto scarsa e questo ha determinato una inevitabile conseguenza: l’impossibilità economica di continuare a pubblicare la rivista. Nonostante tutti i nostri sforzi non siamo diventati partner delle attività sul territorio, tranne di chi ha compreso la valenza della rivista e del nostro lavoro ed ha partecipato con la sua pubblicità.
Quindi, come avrete compreso, quello che state leggendo è l’ultimo numero della rivista. Con nostro grande dispiacere dobbiamo salutarvi e ringraziarvi per averci seguito fino ad oggi.
Non escludiamo la possibilità di poter tornare a stampare la rivista, ma per farlo dovrà succedere qualcosa che ci dia un valido motivo per ripartire con questo lavoro, che riteniamo utile a tutti per tanti motivi. Ciò che ci spiace particolarmente è che proprio chi ha una visione differente da quella che l’attuale sistema economico ci impone, e che la esprime con la propria attività, sia diventato l’artefice di questa nostra (di tutti, lettori, attività, rivista, persone comuni) sconfitta.
Quindi non vi diciamo addio, ma arrivederci.
Come sempre buona lettura e buone feste.

Auguri di una felice vita

di Giulia Marone

Bisogna ammettere con se stessi quando la strada non è più quella. Bisogna essere capaci di dire “lascio andare”. E bisogna perdonarsi quando sentiamo che quanto si è iniziato diventa troppo grande per le nostre forze. Non è che siamo noi deboli, semplicemente non è più la nostra strada. Anche adesso che sto scrivendo, faccio una fatica enorme a non dirmi “hai fallito”. Eppure, vale la pena continuare su una strada che non dà più la gioia dell’inizio alla nostra vita, soltanto per principio?
Lasciare andare, capendo che ora non è il momento giusto, non è un fallimento, è prendere consapevolezza dei nostri mezzi, che non vengono meno, ma cambiano. La volontà è forte, ma dopo tanti tentativi diversi, i mezzi ci abbandonano, le forze si dissipano in preoccupazioni, e il lavoro non viene più fatto con l’amore e la leggerezza che si desiderava trasmettere: è giusto continuare quando non ce la si fa più?
No. Bisogna fermarsi. Non vuol dire arrendersi, ma cambiare. A volte vuol solo dire ricaricare le energie, lasciando andare una cosa che oggi ci scarica. Riprendere le forze, la concentrazione, guardare dentro sé stessi, per poi ricominciare, quando ci sentiremo nuovamente forti e pronti.
Vivere Sostenibile Alto Piemonte giornale finisce qui. Ma le persone che ci hanno lavorato, che ci hanno creduto, che ci sono orbitate attorno e hanno collaborato a un nuovo modello di informazione sono sempre qui, presenti, più forti delle proprie conoscenze ed esperienze.
Attraverso il giornale io ho conosciuto cose e persone, sperimentato teorie e attività, sono cresciuta professionalmente e come persona (sono passati 3 anni, per una che ne ha attualmente 26 sono tantissimi), e oggi posso dire che è stato tutto importante, senza questa esperienza non conoscerei alcune delle persone più importanti della mia vita, non avrei fatto tante esperienze che mi hanno messa in discussione e mi hanno fatto conoscere parti nuove di me. Ringrazio da parte di tutti noi tutti voi, tutti, nessuno escluso, anche coloro che ci hanno fatto arrabbiare, coloro che ci hanno fatto sorridere, ci hanno fatto sentire fieri di ciò che facciamo e ci hanno dato un sostegno a volte inaspettato. Spero di trovare tante altre esperienze come Vivere Sostenibile sulla mia strada, che affronterò con più coscienza e conoscenza, sicura dei miei mezzi e anche insicura, per lasciare spazio al cambiamento che avviene sempre dentro di noi. Vi lascio con tre insegnamenti che Vivere Sostenibile mi ha dato e che ora sono per me delle verità: noi siamo la Terra CON la quale viviamo, gli altri sono lo specchio di noi stessi e tutto ciò che ci circonda prende la tinta che diamo ai nostri occhi. Respiro e speranza nell’immenso: oggi il mio mondo è diventato azzurro cielo.

Articoli di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Dicembre+Gennaio 2018/2019, editoriali

Balla coi Cinghiali: un festival sostenibile!

di Rossana Vanetta

Il Balla coi cinghiali è una bolla fuori dal tempo e dallo spazio. Per tre giorni ti puoi ritrovare immerso nel mondo dell’impossibile, o forse in un mondo che noi sostenitori di un “vivere sostenibile” auspichiamo.
Una tradizione che si ripete da oltre dieci anni e che ha portato nel 2017 addirittura 80.000 visitatori all’interno del forte di Vinadio, in provincia di Cuneo, suggestiva location del festival che quest’anno si è svolto dal 23 al 25 agosto.
Si tratta principalmente di un festival musicale: sono stati oltre cinquanta gli artisti che si sono esibiti, spaziando dall’indie italiano a contaminazioni sudamericane, dai live di reggae ai dj set di musica elettronica. Per ogni gusto e per ogni ballo, la notte al Balla coi cinghiali ha vibrato al ritmo di migliaia di corpi che sprigionavano energia e divertimento. Un altro aspetto imprescindibile del festival sono state le attività culturali, come le proiezioni di film indipendenti o gli incontri con scrittori. E ancora: laboratori sportivi, di danze popolari e discipline olistiche hanno intrattenuto gli ospiti dell’evento in un susseguirsi di attività durante tutte e tre le giornate.

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La sostenibilità al festival è passata anche attraverso incontri sui più delicati temi sociali attuali, come l’accoglienza dei migranti, raccontata dagli stessi protagonisti. Il festival era dedicato a tutte le fasce d’età: numerose infatti sono state le iniziative rivolte alle famiglie e ai bambini, come ad esempio letture, incontri di teatro, laboratori manuali e altri ancora.
Il soggiorno era rigorosamente il campeggio che ha portato migliaia di giovani e non fuori dall’abituale zona di confort, spingendoli a un contatto diretto con la natura. Le montagne circostanti che dominavano lo sguardo invitavano a rilassanti incursioni nel bosco.
Non so se sia stata l’aria incontaminata, la musica che nutre lo spirito o il desiderio di evasione dal quotidiano, ma il risultato è stato che in questi tre giorni, nonostante le migliaia di persone presenti, non si è assistito a nessuna rissa; al contrario, si è respirato un clima di grande apertura sociale, rispetto e collaborazione, a partire dagli instancabili volontari che per oltre tre giorni hanno costituito una grande e solidale famiglia.

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Veniamo ora alla domanda cruciale: può un festival di tale portata essere sostenibile per l’ambiente? La risposta è decisamente sì. Gli organizzatori hanno attuato in particolare tre iniziative in tale direzione. Per prima cosa è stato promosso il car sharing come mezzo per recarsi al festival, attraverso la premiazione delle macchine abbellite a tema in maniera più originale che avessero raggiunto il festival con la clausola che a bordo ci fossero almeno quattro passeggeri. In secondo luogo, importantissima è stata la decisione di non utilizzare alcuna cannuccia e bicchiere in plastica usa e getta. Al posto di questi, con una cauzione di due euro, veniva fornito un bicchiere in plastica riutilizzabile per tutta la durata del festival, che poteva essere restituito alla fine o portato a casa come ricordo. Last but not least, fondamentale la scelta di compensare le emissioni di anidride carbonica prodotta durante il festival attraverso la piantumazione di alberi, in collaborazione con Treedom. Gli alberi vengono piantati in paesi come Senegal, Haiti e Kenya, dove danno origine ad una microeconomia di sostegno locale, oltre che a rappresentare un supporto all’ecosistema spesso danneggiato.
L’unico suggerimento che mi sento di dare, considerando l’importanza delle abitudini alimentari sull’impatto ambientale, è quello di inserire una maggiore scelta veg(etari)ana nelle cucine del festival. Scelta che era rappresentata da un solo-ottimo-food truck, disponibile però solo in limitate fasce orarie.
Se dunque non avete mai provato il Balla coi Cinghiali e volete saggiare in prima persona quanto avete letto, dovete solo aspettare il prossimo anno per tuffarvi nel mondo del festival, ricordandovi che un ottimo modo per godere l’esperienza è partecipare come volontario!

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, sezione Turismo Sostenibile

Uno sguardo sulla Val Grande Monte Faiè (1.352 mt.) (Ompio -VB-)

di Mauro Carlesso – scrittore e camminatore vegano

La scheda
Località di partenza: Ompio (mt. 940) –VB-
Località di arrivo: Ompio (mt.940) –VB-
Cime sul percorso: Monte Faiè (mt. 1.352)
Dislivello: mt. 410 circa
Tempo di percorrenza: ore 4 (soste escluse)
Difficoltà: E
Periodo: primavera – autunno

mergozzo e maggiore

L’invito
Il Faiè (che significa faggeta) rappresenta un comodo balcone che si affaccia sulle tormentate cime della Val Grande. Poco oltre la vetta del Faiè la cresta infatti si impenna e si contorce nelle rocce della Cima Corte Lorenzo, avamposto di quei Corni di Nibbio dalle forme repulsive e raramente visitate. Raggiungere il Faiè vuol dire affacciarsi sulla più vasta area wilderness italiana, scrutarne i solchi vallivi impenetrabili, osservare le tortuose sagome delle montagne affastellate tra di loro ed ascoltare il profondo silenzio nel quale da decenni è immerso questo spettacolare, affascinante e magico territorio.

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L’itinerario
Dall’autostrada A26 uscire a Baveno e proseguire in direzione Verbania. Alla rotonda di Fondotoce girare a sinistra per San Bernardino Verbano – Parco Val Grande. Si continua per alcuni chilometri lungo la provinciale che passa per Bieno e seguire poi per Rovegro, Santino e Alpe Ompio. Negli ultimi 7 km la strada corre tra i castagni e termina in località Ruspesso a 937 mt. dove si parcheggia. Dal parcheggio imboccare la bellissima mulattiera acciottolata tra due muretti che in breve conduce al Rifugio Fantoli, (15 min.). Da qui si prosegue su un sentiero segnalato che sale nel bosco fino a una selletta (a destra prosegue in piano il sentiero per Corte Buè), si continua verso sinistra, salendo la dorsale boscosa che diventa successivamente molto panoramica e poi, camminando tra la faggeta, si raggiunge la cima del Monte Faiè (1.352 mt). Il ritorno si può effettuare lungo la via di salita. Se invece si vuole chiudere un anello, dalla cima proseguire lungo la panoramica dorsale, passare dall’Alpe Pianezza, e dopo un’ultima elevazione scendere alla Colma di Vercio ( 1250 mt.); da qui scendere sul versante Ossolano su un sentiero che, superata una piccola dorsale rocciosa, porta con vari tornanti al bel pianoro di Vercio ( 900 mt.) da dove, con percorso in mezzacosta e passando da Curt di Nus (cartello) si rientra all’Alpe Ompio.

La nota storica
Camminare in Val Grande, ovunque lo si faccia, significa tuffarsi in un mondo ricco di storia e di storie fatte di lavoro, fatica e fame. Sembra incredibile che in questo territorio così ostile, l’uomo abbia potuto vivere e lavorare. Qui in Val Grande l’uomo ha conosciuto un’intensa epopea lavorativa con la produzione di legname e di energia elettrica. Ora che la Natura si è riappropriata di tutto il territorio che l’uomo aveva addomesticato sembra impossibile che Cossogno, un piccolo paese valgrandino, sia stato uno dei primi paesi in Italia a beneficiare di una Centrale Elettrica (con buone probabilità si ritiene addirittura che la Centrale di Cossogno sia stata la prima in assoluto). Merito del lungimirante ingegnere svizzero Sutermeister insediatosi a Pogallo e dove si possono ancora osservare le vestigia della sua lussuosa casa. Ma in Val Grande era più la fame e la miseria a far compagnia alla gente. Una di queste storie di stentata ma dignitosa sopravvivenza riguarda Angela Borghini, nota come La vegia dul balm. Proprio sotto i Corni di Nibbio, in un anfratto della roccia, la Borghini negli anni 20 si era ritirata a vita grama con un uomo che aveva moglie e un figlio fuggendo di fatto dalla maldicenza del paese che non vedeva di buon occhio questo rapporto di concubinaggio. E così Angela e Michele hanno vissuto il loro ideale e tormentato amore sotto la balma di Fajera, un luogo inospitale, fuori dal mondo e di difficile accesso anche oggi. Angela visse lassù isolata anche per molti anni dopo la morte di Michele testimoniando una prova di libertà forse estrema ma sicuramente ammirevole, commovente ed irripetibile.
(per approfondire si veda lo storico e commovente libro “Val Grande ultimo paradiso” di Teresio Valsesia – Alberti Libraio Editore Intra 1985)

Per un pranzo al sacco Veg
Un suggerimento per un gustoso pranzo al sacco vegano a impatto zero: cous cous con tofu, melagrana e pistacchi.

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, sezione Turismo Sostenibile

Cambiamo l’agricoltura

di Ilena Maran

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La Lomellina non è solo terra di fanghi e incendi di rifiuti, agricoltura intensiva e fabbriche. È una realtà che si sta aprendo al turismo e alla tutela del territorio. Lo dimostra l’esempio di Cascina Bosco Fornasara, azienda agricola biologica di Nicorvo, premiata alla trentesima edizione di Festambiente di Legambiente a Rispescia, nell’ambito del concorso “Cambiamo Agricoltura”. L’azienda è stata scelta per “l’impegno nella salvaguardia della biodiversità e per le buone pratiche agricole messe in atto, che testimoniano come il cambiamento del modello agricolo in chiave sostenibile sia effettivamente realizzabile.” Cascina Bosco è l’esempio di un’impresa che ha saputo ripensare le proprie modalità produttive, il proprio rapporto con il mercato, inglobando nella sua attività e nel valore dei suoi prodotti, la cura per il paesaggio.

Una realtà virtuosa in un territorio agricolo dove decenni di monocoltura, totale meccanizzazione e abuso di pesticidi hanno trasformato l’ambiente rendendolo non idoneo alla sopravvivenza di molte specie. “Nei 50 ettari di campi che coltivo -spiega il titolare Roberto Marinone- non utilizzo fertilizzanti, erbicidi, antiparassitari e fungicidi di nessun tipo. Riproduco la maggior parte dei semi, privilegiando antiche varietà di cereali, come miglio, riso Rosa Marchetti e Carnaroli, che semino in rotazione a grano saraceno e legumi e in consociazione ad erbe spontanee, siepi ed alberi. Pratico solo le lavorazioni del terreno indispensabili, evito arature profonde e livellamenti ed in ogni campo ho creato dei solchi che permangano allagati anche durante le asciutte, al fine di garantire la sopravvivenza della microfauna acquatica. Per rendere fertile e produttivo il terreno, faccio affidamento a sovesci, rotazioni e false semine, che hanno lo scopo di aumentare la biodiversità e contemporaneamente contrastare l’impoverimento del suolo, le infestanti e i patogeni delle colture.”

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Tutto ciò, insieme all’opera di piantumazione e inerbimento delle rive, ha permesso la ricomparsa di molte specie come la marsilea quadrifolia (felce acquatica quasi estinta), il tarabuso, (l’airone più raro d’Europa), la lycaena dispar (una farfalla inserita nella lista delle specie a rischio), nonché tritoni, rane e libellule. L’azienda mira inoltre a ridurre al minimo il suo impatto sull’ambiente, utilizzando energia prodotta da impianti fotovoltaici ed essiccando i semi col calore naturale del sole o con bruciatori a gpl. “Abbandonare le logiche dell’agricoltura convenzionale, volte a massimizzare il profitto a discapito della qualità del prodotto e dell’ambiente, è stata la svolta che mi ha cambiato la vita. Veder tornare insetti, uccelli ed erbe quasi scomparsi in risaia, è il mio successo quotidiano, confermato da questo importante premio”.

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, sezione alimentazione consapevole

Le esigenze alimentari dello sportivo

di Elisa Cardinali, Biologa Nutrizionista

Chi pratica uno sport ha esigenze nutrizionali diverse da chi fa una vita sedentaria. Ne deriva che la scelta qualitativa e quantitativa degli alimenti e il momento di somministrazione del cibo possono influenzare notevolmente la prestazione, il rendimento, la resistenza alla fatica nonché la possibilità di incrementare i carichi di lavoro. Una buona gestione dei carboidrati è fondamentale. In particolare, per assicurare un apporto costante di zuccheri nel torrente circolatorio, va privilegiata la somministrazione di carboidrati a basso indice glicemico 3-4 ore prima della gara. Questo permette di evitare quei fenomeni d’ipoglicemia conseguenti all’assunzione di alimenti come merendine e bibite dolci: subito ci si sente bene, ma finito l’effetto l’energia svanisce. Immediatamente dopo la prestazione, alimenti a maggior indice glicemico permettono invece di ripristinare le riserve di glicogeno epatico e muscolare.

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Anche l’assunzione di una certa quota di proteine dopo la prestazione è importante
: stimola la sintesi proteica muscolare e contrasta la fase di catabolismo/degradazione dovuta all’esercizio. Questo è importante soprattutto per quegli atleti il cui obiettivo principale è l’aumento della massa muscolare. L’attività sportiva crea nel corpo un ambiente acido che favorisce infortuni e tendiniti e che è possibile contrastare attraverso la somministrazione di alimenti alcalinizzanti come frutta e verdura, soprattutto cruda. Dal momento che l’attività fisica provoca temporaneamente anche uno stato d’infiammazione, per lo sportivo diventa fondamentale l’assunzione giornaliera di omega 3, contenuti non solo nel pesce, ma anche in fonti vegetali come semi e olio di lino, frutta secca come noci, nocciole e mandorle e, seppure in minore quantità, anche in verdure a foglia verde come cavoli, spinaci e insalate. Questi acidi grassi, grazie al loro effetto vasodilatatore, favoriscono l’afflusso di sangue ai muscoli e, agendo sulla serotonina, migliorano anche l’efficienza mentale degli atleti.
E l’idratazione? Non va assolutamente trascurata: prima e durante la prestazione la bevanda deve essere facilmente assorbibile a livello intestinale e avere un tempo breve di permanenza nello stomaco, come nel caso di bevande a base di fruttosio e maltodestrine. Dopo la prestazione invece il principale obiettivo è ripristinare vitamine e sali minerali: una valida soluzione “casalinga” potrebbe essere sciogliere in un litro d’acqua succo d’arancia o limone, 4-6 cucchiaini di zucchero (meglio se di canna ed integrale) e mezzo cucchiaino di sale da cucina.

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, sezione Speciale Alimentazione Consapevole

Tutte le strade portano in (alta) montagna

tratto dal blog I camosci bianchi
Toni Farina

Strade che salgono in alto. Oltre i paesi, verso le arene del silenzio. Le infrangono. La questione è da tempo oggetto di contesa. E così accadrà anche quest’anno, 2018, con l’arrivo della calura estiva. Contesa fra portatori d’interesse diversi, talora opposti, sostenitori di posizioni che è arduo conciliare. Da un lato i fautori del turismo dolce per i quali queste strade devono essere in via prioritaria lasciate a camminatori e ciclisti. Una posizione che, è importante sottolinearlo, è fatta propria anche da titolari di esercizi commerciali, gestori di rifugi e posti tappa per i quali l’escursionista è il cliente principale. Un cliente esigente, che mal tollera la convivenza con i motori. Soprattutto se il cliente in questione proviene da oltralpe. Dall’altro i fautori della massima “la montagna è di tutti”. “Non bisogna escludere nessuno”. Soprattutto non bisogna escludere quell’importante fetta di mercato composta da motociclisti e fuoristradisti, molti dei quali, provenienti anche da oltralpe, trovano sulle montagne del Bel Paese un terreno di gioco molto libero, impensabile nelle loro contrade. Una posizione condivisa da gran parte degli amministratori pubblici, restii a imporre limitazioni.

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La questione è da tempo oggetto di contesa, ma nell’estate 2017 è diventata più stringente. Complice il gran caldo, la montagna è diventata luogo di salvezza. E così sarà anche quest’anno e nel tempo a venire. Ma la montagna è per sua intima natura anche luogo del limite: etico (per chi crede) e fisico. E così dalle Dolomiti alla Conca del Prà in Val Pellice, dall’Ossola alle Alpi Liguri è tutto un fiorire di soluzioni intermedie, “provvisorie”, “sperimentali”, spesso figlie dell’italica incapacità di decidere. Numero chiuso, orario o periodo stagionale limitato, pedaggio, navetta. Lo scopo è di accontentare tutti. Col rischio di non accontentare nessuno. Tuttavia emergono qua e là timidi segnali. Nulla di strutturato, però si inizia a capire che un accesso più dolce ai luoghi turistici di alta montagna non solo è possibile, ma può essere anche vantaggioso. Può creare qualità. E così si aderisce a campagne di mobilità sostenibile, nella speranza (convinzione sarebbe eccessivo) di dare un impulso a quel turismo tanto vagheggiato, quanto ancora semi-clandestino. L’elenco di località piemontesi che seguono (NdR: che qui su Vivere Sostenibile è stato limitato a quei luoghi compresi nelle nostre province) costituiscono una sorta di “report” in parte aggiornato al 2017, in parte aggiornato all’estate in corso, 2018. L’impulso a questa ricerca è comunque giunto l’anno scorso, il torrido 2017, foriero di polemiche in molte località. Ho cercato per quanto possibile di dare voce a portatori di interesse di varia estrazione e mi scuso per eventuali inesattezze e omissioni. Sarà interessante seguire l’evoluzione negli anni a venire.

“Il posto più bello del mondo”

Così definisce l’Alpe Devero Alberto Paleari, guida alpina dell’Ossola. Se lo dice lui c’è da crederci. Ma Devero sarebbe ancora più bello senza quella rotabile che da Goglio s’infila nel granito delle Lepontine per giungere a lambire la piana. Alta Ossola, estremo nord del Piemonte. Una zona che, per ragioni di distanza, i piemontesi non bazzicano molto, e che neppure gli ossolani considerano molto piemontese. In effetti molto più assidui sono i cittadini lombardi, in gran parte automuniti, tant’è che lassù, nei giorni di festa, estivi o invernali, è dura sistemare la fila di auto che s’inerpicano da Goglio, non c’è costo di parcheggio che tenga. La navetta organizzata dall’ente gestore del Parco naturale Alpe Veglia e Alpe Devero fa il suo egregio lavoro, ma non basta a soddisfare l’ansia d’Alpe. E dire che da Goglio saliva lassù una funivia. E dire che il confine con la Svizzera felix è lì, bastava prendere esempio da chi con il turismo fa affari da tempo, costava poco imparare pratiche virtuose. Fu così che la funivia, anziché essere adeguata al pubblico trasporto, fu smantellata. E c’è stato pure chi ha sostenuto la “necessità” di portare auto e moto in quel di Crampiolo, con tanto di bel parcheggio con vista sull’Arbola. E oggi si progetta di “avvicinare le montagne” con le funivie. Follie ossolane.

“La prima volta che ho sentito parlare della strada del Devero ero ancora una bambina. Me lo ricordo bene perché sentivo spesso mio padre discuterne con amici e conoscenti: lui era favorevole e elencava i vantaggi di una strada rispetto alla costruzione di una funivia. Durante la mia infanzia, salivo a Devero a piedi, percorrendo la mulattiera o con la mitica funivia dell’Enel che partiva da Goglio. La piccola cabina rossa, portava, se non ricordo male, 16 persone in tutto e ci impiegava almeno mezz’ora per salire e riscendere. Era ogni volta un’avventura. Forse per questo motivo già allora ero contraria alla strada e favorevole alla funivia, in netta contrapposizione alle scelte paterne. Ho visto da vicino la costruzione della strada e ho cominciato a lavorare a Devero quando ormai la strada era terminata. Non posso negare di averla trovata comoda, cosa che mio padre mi ha più volte rinfacciato, e di averla anche maledetta quando le condizioni della neve non permettevano di tenerla aperta per il pericolo di valanghe. Ora, dopo quasi 30 anni di lavoro come imprenditrice turistica al Devero, continuo a pensare che la scelta migliore per tutti sarebbe stata una strada di servizio e una bella funivia che ci avrebbe garantito l’accesso in qualsiasi momento. Siamo ancora qui dopo tutti questi anni a chiederci come sarebbe stata la nostra vita qui al Devero se le scelte fossero state differenti. Ma ogni scelta, nel bene e nel male, chiude possibilità che restano nel mondo dell’ipotetico.” Rosy Saletta, titolare di Casa Fontana all’Alpe Devero.

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“Un itinerario in bicicletta tra i più belli d’Europa”

Ancora una citazione per descrivere il Tracciolino. L’autore è Fabrizio Bottelli, responsabile del Giardino botanico d’Oropa, che certo la zona la conosce bene. E anche in questo caso c’è da credergli. In particolare se si azzecca la giornata con meteo favorevole, questa “traccia” a mezzacosta sulla montagna biellese, tra Andrate e Oropa, riserva impressioni davvero notevoli. Che ancor più notevoli sarebbero ponendo limiti (ora non previsti) al transito dei mezzi a motore.
Il maggior rispetto sarebbe tra l’altro coerente con gli importanti aspetti devozionali che caratterizzano la zona. Oropa, la Trappa, il Santuario di Graglia, il sentiero Frassati, la Chiesa di San Carlo. Il Tracciolino è parte della “strada panoramica” ideata negli anni ’30 del secolo scorso dall’imprenditore tessile Ermenegildo Zegna, nell’ambito di un vasto progetto di valorizzazione turistica avviato nella montagna sopra Trivero, sede del proprio lanificio. Il tratto in questione, completato in più riprese dagli anni ’50 del secolo scorso fino ai giorni nostri, attraversa sui 1000 metri di quota il territorio della Valle Elvo fra la zona degli alpeggi estivi e le emergenze della Trappa di Sordevolo, della borgata di Bagneri e del Santuario di Graglia.

“Ma come conciliare le ragioni di chi considera il Tracciolino un’opera da terminare, un “tracciamento” da potenziare con ulteriori percorsi paralleli e trasversali, e di chi la considera invece un errore, una ferita da rimarginare? Ci può essere una terza strada? Un sentiero possibile che tenga insieme la gestione di un territorio montano con la salvaguardia dell’ambiente naturale. Può il Tracciolino diventare un percorso privilegiato di conoscenza? Una nuova cerniera tra due mondi complementari, come lo erano in passato i paesi e la montagna? Può diventare, questa traccia, il laboratorio di un nuovo turismo sostenibile e responsabile? Giovanni Pidello, Ecomuseo del Biellese.

L’alimentazione bio: è davvero così vantaggiosa come sembra?

di Veronica Ventura

I dati parlano chiaro: le vendite globali del cibo biologico sono cresciute del 300% nell’ultimo decennio, nonostante gli effetti della crisi economico finanziaria del 2008. Il consumo di cibo biologico si concentra fortemente in Europa e in Nord America, per effetto di una crescente sensibilità ed attenzione dei consumatori verso la qualità del cibo, producendo, solo in questi due continenti, il 96% del fatturato globale. I dati delle vendite parlano di un giro d’affari di 20 miliardi di euro in Europa e da 30 miliardi di dollari in America del Nord. Il successo economico del mercato bio è dunque innegabile.

Ma quale è stata la spinta sociale che ha determinato il successo dell’organic food? Da cosa deriva l’improvvisa popolarità del cibo biologico? Perchè i cittadini americani ed europei hanno deciso di cambiare tipo di alimentazione? Mangiare bio è veramente meglio?
La chiave di volta per comprendere il successo di mercato dell’organic food pare essere molto semplice, almeno in Europa: da sondaggi demoscopici emerge infatti che il 70% dei cittadini del vecchio continente abbia il sospetto che il cibo proveniente dalle filiere produttive convenzionali sia rischioso per la salute umana. In particolare, i cittadini europei temono l’alta esposizione del cibo ai residui di pesticidi. L’alternativa bio ovvia il problema dei consumatori EU, proponendo filiere sostenibili e cibo che la maggioranza delle persone indica come qualitativamente migliore.

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Le indagini scientifiche avvalorano in maggioranza l’opinione dei cittadini europei, sottolineando la scarsa (se non nulla) presenza di nitrati e di residui di pesticidi in alimenti coltivati con metodo biologico\biodinamico. Ricordiamo che i nitrati sono dannosi per la salute umana, sono stati associati all’insorgenza di tumori del sangue e del sistema nervoso centrale , inoltre, aumentano il rischio di cancro gastrointestinale negli adulti e di metemoglobinemia nei bambini.
Un report dell’Accademia Americana di pediatria evidenzia un altro grande vantaggio proprio dell’alimentazione bio. L’analisi delle eventuali differenze nutrizionali tra prodotti coltivati con metodi bio e prodotti convenzionali ha portato gli scienziati a concludere che “gli alimenti biologici sono sensibilmente più ricchi di polifenoli, stilbeni, flavonoidi, antocianine e altri antiossidanti naturali che possono neutralizzare i radicali liberi presenti nell’organismo, aiutando a tenere lontane le infezioni e assicurando protezione dai processi infiammatori e da alcune malattie degenerative.”
Ecco altre buone ragioni per continuare (o cominciare) a mangiare biologico!

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, sezione Speciale Alimentazione Naturale

Il veleno ignoto: lo zucchero

di Elisabetta Lora Ronco

«Non hai mai fatto assaggiare la cola a tuo figlio?!». È la domanda costernata che mi pone una collega, incredula e dubbiosa. Anche io sono incredula, forse perchè mio figlio (al momento della domanda) aveva solo tredici mesi e no, tra un biberon e una pappa, non mi è mai venuto in mente di fargli assaggiare la cola!
Sono nata alla fine degli anni Ottanta e i miei genitori mi hanno sommersa di dolciumi e bibite. Dolci a colazione, dolci a fine pasto, a merenda, dolci per consolazione, dolci per premiazione, il risultato: sono stata per anni in sovrappeso, senza riuscire a sapere come slegarmi da quel gusto dolce, a non sapere come dire basta quando non avevo più appetito, o a mangiare solo quando avevo fame. L’intenzione dei miei genitori non era certo quella di farmi del male, erano inconsapevoli dei danni, come lo è stata la maggior parte di quella generazione.
Ma adesso? Adesso se uno vuole informarsi, vuole capire e conoscere ne ha le possibilità.
Allora ecco qualche informazione sullo zucchero, il veleno bianco. Non parlo solo del cucchiaino che mettiamo nel caffè, ma parlo soprattutto di quello aggiunto ai cibi industriali che compriamo.

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La prima epidemia di obesità della storia

Nel 2017 la rivista The Lancet, pubblica uno studio in cui si evince che nel mondo, negli ultimi 40 anni, il numero di bambini e adolescenti obesi è aumentato di dieci volte. In Italia, la percentuale è aumentata di quasi tre volte nel 2016 rispetto al 1975. Assistiamo alla prima epidemia di obesità della storia, che rischia di condannare i nostri figli a sviluppare, presto o tardi, patologie cardio e cerebrovascolari, il diabete, i tumori, l’ipertensione, la sindrome metabolica e via dicendo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una dieta corretta accompagnata ad attività fisica è un validissimo strumento di prevenzione per molte malattie e di trattamento per molte altre (1).
In questi ultimi decenni sono esplose campagne di sensibilizzazione e prevenzione contro l’obesità, ideati programmi di fitness, sono state pubblicizzate infinite tipologie di diete e siamo stati invasi da migliaia di prodotti dietetici.
Allora come è possibile che il sovrappeso e l’obesità siano aumentati così esponenzialmente?

Cosa dice l’OMS

Le linee guida OMS elaborate nel 2015 prevedono la forte raccomandazione di ridurre l’apporto di zuccheri al di sotto del 10% (circa 10 cucchiaini), rispetto al fabbisogno energetico totale, meglio il 5%. Pensiamo alla facilità estrema con cui si possono raggiungere questi limiti: due cucchiaini di zucchero da cucina, due di ketchup e 4/5 frollini. In un attimo 25 grammi (5 cucchiaini di zucchero). Queste raccomandazioni sono basate su evidenze scientifiche che mostrano come l’assunzione di quantità inferiori di zuccheri porti ad avere un peso corporeo inferiore.
Le persone sono consapevoli che basta così poco per ingrassare? Sono consapevoli che l’industria alimentare aggiunge zucchero ovunque, persino in prodotti insospettabili come il ketchup? E, soprattutto, se lo zucchero fa male, perché non viene fatto scomparire dai cibi industriali?

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Zucchero e dipendenza

Secondo una review pubblicata dal British Journal of Sports Medicine, il consumo di zucchero raffinato indurrebbe effetti sovrapponibili se non addirittura superiori, a quelli di altre sostanze che provocano assuefazione (2).
Lo zucchero, infatti, ci lega a sé in modo unico. Il sapore dolce non è soggetto a meccanismi di repulsione naturali, come avviene invece per il salato: le persone possono mangiare un intero sacco di biscotti o infinite barre di cioccolato e volerne ancora di più.
Gli zuccheri raffinati, portano a sviluppare le tipiche conseguenze delle dipendenze da sostanze, compreso l’abuso e il craving, cioè la fame da droga, il desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva. Esistono persino studi che dimostrerebbero che si può andare in astinenza da zuccheri manifestando sintomi come il disturbo di iperattività, deficit di attenzione, fino a uno stato simile a quello dei pazienti affetti da depressione.
Va da sé che se siamo dipendenti dallo zucchero, ne vorremmo sempre di più e continuamente. In questo modo l’industria alimentare continua a vendere, e il profitto cresce. Senza contare che ce lo rendono estremamente disponibile. Ovunque c’è un dispenser di merendine, succhi e cioccolata. E se davvero lo zucchero dà dipendenza, come facciamo a resistere a questo bombardamento continuo?

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(1) http://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/42665/WHO_TRS_916.pdf;jsessionid=9D9E8CF0347A7EFBFDA7AA156C5F4A28?sequence=1

(2) https://bjsm.bmj.com/content/early/2017/08/23/bjsports-2017-097971

Food for Health (cibo per la salute) un manifesto collettivo

Vandana Shiva al SANA di Bologna tra biodiversità e fake news

A cura di Roberta Rendina – Eco-attivista, Blogger ed Insegnante di Yoga e Meditazione
roberta.rendina@gmail.com

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Non sembra a prima vista niente di nuovo… ormai ci siamo abituati. L’ennesimo appello di scienziati, ricercatori, ecologisti ai Governi di tutto il mondo in difesa dell’ambiente e della salute. La storia degli ultimi 20 anni ne è piena. Dai Manifesti per i diritti della Terra e delle popolazioni indigene ai manifesti di comitati locali e internazionali che si occupano di inquinamento di ogni tipo, appelli per la scomparsa di specie animali e così via. Abbiamo fatto estinguere una gran moltitudine di varietà vegetali ed animali, fino a compromettere anche gli insetti impollinatori, importantissimi per la nostra stessa sopravvivenza: le api, ma ancora non ci rendiamo conto che i prossimi a scomparire saremo noi umani! E non uso il condizionale volontariamente perché non si tratta di una eventualità, ma di una certezza, dati alla mano. Troppo spesso si porta il dibattito intorno all’oggetto sbagliato, in modo che non si parli di ciò che davvero è importante. Lo dicono gli oncologi autori del Manifesto Food for Health in apertura. Dice Patrizia Gentilini, medico ISDE, che non è più possibile negare la verità alla popolazione, che il cancro e tutte le altre malattie mortali che purtroppo sono sotto i loro occhi, tutti i giorni aumentano a dismisura, non sono causate da fattori ereditari come si millanta in giro, né dallo stile di vita che certo ha un impatto, ma che mai potrà essere così grande come quello prodotto da tutte le sostanze inquinanti tossiche e velenose che ingeriamo ed inaliamo tutti i giorni, stimate dalle 300 alle 500 per ognuno di noi. I dati sintetizzati nel Manifesto Food for Health, che ha visto la luce grazie all’editore AAM Terra Nuova, sono il frutto di 347 articoli e pubblicazioni scientifiche che dimostrano come in realtà la produzione di cibo industriale sia il punto centrale di ogni problematica attualmente rilevante della salute individuale, dei cambiamenti climatici e della giustizia sociale.

Vandana Shiva lo dice fin da subito nel suo acclamatissimo intervento, ‘Il cibo è vita, ed è ogni altra cosa’ citando un vecchio proverbio indiano. Attraverso la sua produzione scegliamo se preservare o aggredire senza rimedio l’ambiente in cui viviamo e di cui siamo parte, attraverso la sua commercializzazione decidiamo chi deve viverne e chi deve essere sfruttato, attraverso la sua ingestione se vivere o avvelenare noi stessi ed i nostri cari. Ma le scelte a tutti i livelli sono tutt’altro che libere purtroppo.
Perché noi viviamo in un sistema altamente manipolato, in cui si fanno credere cose che non sono vere, anzi, che sono l’opposto. E Vandana Shiva, leader indiscussa del movimento mondiale per la biodiversità e la sovranità alimentare, determinata e dolce al tempo stesso come una vera madre, comincia inaspettatamente con un discorso intorno alle fake news, evidentemente molto ben informata anche sul dibattito politico italiano.

Comincia dal ‘fake food’.
Si può chiamare cibo, un alimento senza vita, deliberatamente privato degli elementi nutritivi minimi, frutto di un’omologazione costante in cui si sceglie di coltivare il seme che produce maggiori quantità a discapito della qualità e della biodiversità che è necessaria alla continuazione della vita?
Si può chiamare cibo un condensato di pesticidi, inquinanti provenienti da aria ed acqua, conservanti, ed altre sostanze artificiali per lo più tossiche se non addirittura cancerogene? Anche il nostro microbiota intestinale, avvertono gli esperti presenti e

quelli che hanno organizzato un altro intero convegno proprio sull’intestino e le sue patologie e la stessa Vandana Shiva, è ridotto nelle pessime e preoccupanti condizioni attuali proprio per mancanza di adeguata diversificazione ed a causa della natura stessa degli alimenti industriali che ingeriamo con la loro scarsissima qualità. Biodiversità dentro e biodiversità fuori. Non è un elemento accessorio, è la base della vita stessa. Occorre che ci siano differenti varietà di ogni frutto generato da questa terra, così come occorre che venga mantenuta un’alta varietà di batteri ‘buoni’ nei nostri intestini. Sembra la manifestazione perfetta del principio olografico tanto caro agli antichi testi dello yoga. Se manca nel ventre della madre terra anche noi ne rimarremo privi. Con tutto ciò che comporta.

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Ma torniamo alle fake news di cui ci avverte Vandana Shiva.
La seconda, la più grave riguarda l’informazione scientifica la ‘fake science’: 50 anni di informazione scientifica falsa, manipolata, deviata, finanziata dal ‘cartello dei veleni’ così lo chiama Vandana, l’oligopolio delle quattro multinazionali che hanno in mano l’intero settore agro-industriale mondiale. Cita Monsanto/Bayer chiaramente, oggetto di tante campagne anche in India dal tempo dei suicidi dei contadini che erano costretti a comprare semi sterili, ma anche Syngenta.

E poi c’è la ‘fake free international trade’. Veramente siamo in un regime di commercio libero? Vandana Shiva non crede. Dai prezzi, all’informazione, all’orientamento sul tipo di colture niente è veramente libero; quando c’è un oligopolio così ristretto per forza di cose tutto viene fatto su misura per il loro profitto. Pensiamo solo al divieto dell’uso di glifosato nelle colture in Europa, di recente annuncio. Il glifosato esce dalla porta e rientra dalla finestra per così dire, visto che attraverso il trattato di ‘libero’ commercio, il Canada può così esportare da noi grano con quantità ancora più elevate di glifosato. Poi si sofferma sul concetto di Free International Trade e ci racconta un aneddoto interessante. Dice Vandana Shiva che questo concetto è stato inventato in India o meglio per l’India da parte della East India Company, una compagnia inglese che volendo colonizzare con i suoi prodotti l’economia indiana, si inventò questa parola. Lo scopo era far passare come libero commercio il loto, tassando i prodotti locali indiani e garantendo invece la libera circolazione delle merci per gli inglesi.

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Ultima fake, ‘fake security’, quella secondo cui il cibo industriale e confezionato è più ‘sicuro’ del cibo fatto con le mani.
Un quadro certamente non ottimistico quello delineato, ma Vandana Shiva non sembra preoccupata, anzi conclude il suo intervento risollevando l’animo dei partecipanti. Cita il suo paese e la loro esperienza con la dominazione inglese dicendo che anche gli inglesi pensavano che avrebbero governato per sempre. E poi? E poi è arrivato Gandhi e senza sferrare un solo colpo li ha cacciati. Era immaginabile? Decisamente no. Per questo non bisogna perdersi d’animo. Ognuno deve continuare a fare la propria parte nel proprio ambito e poi però, quando è il momento in quelle poche decisive occasioni, quelle poche storiche date, unirsi agli altri per far sentire la propria voce perché la rivoluzione, la cooperazione come noi la intendiamo non è finita, è appena cominciata.

Alcuni dati tratti da Food for Health
– Dal 1945 la produzione di pesticidi è aumentata di 26 volte;
– In Italia sono stati ritrovati pesticidi nel 67% delle acque italiane, nel 33 di quella sotterranee. 259 sostanze, 55 in un unico campione;
– L’Oms stima 200.000 casi di decessi direttamente derivanti da pesticidi organofosforici;
– Incremento del 55% di leucemia mieloide per esposizione ai pesticidi durante la gravidanza;
– 800 milioni di persone sono sottoalimentate nonostante 1/3 del cibo prodotto venga distrutto-2 miliardi di persone sono affette da malattie come obesità e patologie collegate;
– il sistema industriale agroalimentare occupa il 75% del suolo coltivabile;
– il 75% della biodiversità vegetale è scomparso negli ultimi 100 anni.

“Il cibo è stato ridotto ad una merce per fare profitti, ma sta distruggendo la salute del pianeta e della gente. E quando si guarda al costo esternalizzato di questo danno, ci si rende conto che è 4 o 5 volte più grande del costo del totale dell’economia alimentare ufficiale globale. La gente paga il prezzo del cibo a basso costo, che è cibo finto, attraverso i conti che deve pagare per curarsi. Potremmo tutti vivere bene, alimentarci in modo sano, con cibi freschi e locali. Per questo insieme ad un gruppo di medici ed ecologisti, quelli come noi che hanno dedicato la propria vita ad un cibo migliore per una salute migliore sia del pianeta sia della gente, abbiamo unito le forze per produrre questo Manifesto. Proteggere e difendere la giustizia, la giusta sostenibilità, la terra, le nostre famiglie è un processo che genera un’energia intrinseca. La lotta è solo un effetto collaterale, non è l’obiettivo. L’obiettivo è proteggere ciò che si ama, la biodiversità di questo pianeta, il suolo, i semi, la salute della gente e la democrazia” — Vandana Shiva

Il Manifesto Food for Health rappresenta uno strumento nelle mani dei cittadini per reclamare una transizione verso sistemi alimentari locali, ecologici e diversificati. È un imperativo sociale, economico e democratico.

Per scaricare il Manifesto:
https://issuu.com/terranuovaedizioni/docs/manifesto_food_for_health_lrdig

Per informarsi e partecipare alle attività Navdanya International:
www.navdanyainternational.it/it/

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, sezione Speciale Alimentazione Naturale

Il Titanic e come evitare l’iceberg!

di Enrico Marone

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Così come è ormai evidente, il nostro pianeta non sta bene e la responsabilità è nostra, delle nostre azioni quotidiane. Quest’anno le temperature sono di nuovo state elevate e questo ha causato disastri in tutto il mondo. In Grecia gli incendi hanno ucciso 91 persone. In Giappone per una ondata di calore, che per la prima volta nella sua storia ha fatto superare i 40°C a Tokyo, sono morte 125 persone. In California 18 incendi hanno sviluppato così tanto calore da creare un microclima diverso nella zona. Dei ghiacciai e dell’Artico sappiamo già che stanno scomparendo sempre più in fretta. Sono la nostra (intesa come umanità) scorta e riserva di acqua dolce, ma pazienza, stiamo concentrati su Ronaldo!
In diversi pascoli montani europei, hanno dovuto portare acqua con gli elicotteri perchè gli alpeggi senza pioggia sono secchi. Non ci si salva neppure in montagna.
Queste sono situazioni di cui si era già preso atto nel famoso accordo COP21 di Parigi a fine 2015. Accordo che, nella realtà dei fatti, si è rivelato semplicemente una riuscita operazione di marketing politico. Tant’è che una buona fetta dei 2°C di aumento della temperatura media del pianeta (incremento oltre il quale non si sa quali disastri avverranno) ce lo siamo già giocato. Ma il mondo politico-economico non è fermo, state pure tranquilli!
Ad ogni livello si sta lavorando ed in fretta, per sfruttare le conseguenze, terribili per ogni essere vivente, del riscaldamento climatico. Diversi Stati ed aziende si stanno comportando come gli imprenditori sciacalli che festeggiavano per il terremoto a L’Aquila. Infatti lo scioglimento artico, disastro planetario, sta scatenando la ricerca del petrolio, cioè la sostanza il cui utilizzo è responsabile dello scioglimento dell’Artico! Qualcuno sta addirittura militarizzando l’area per garantirsi la sua fetta di profitto. Ma anche il carbone sta tornando in voga!
Negli ultimi tre anni, il carbone, che è una delle fonti energetiche più inquinanti (sia nel processo di estrazione, che durante la sua combustione perché emette moltissima CO2 e spesso anche anidride solforosa, oltre a metalli pesanti), è diventata la fonte a maggior crescita come consumi (https://it.wikipedia.org/wiki/Consumo_di_energia_nel_mondo). C’è anche chi vorrebbe nuove centrali a carbone in Italia, che già è uno dei primi dieci Paesi importatori a livello mondiale.
È evidente che è talmente forte la dipendenza dal denaro, che negli USA di Trump vogliono reintrodurre l’utilizzo dell’amianto! Chissà prossimamente riavremo il DDT?
I consumi di energia continuano ad aumentare, la deforestazione continua, le riserve ittiche diminuiscono in modo preoccupante, le ondate di siccità sono sempre più critiche ed i fenomeni metereologici sempre più violenti. La biodiversità segnala continue gravi perdite; è rimasto un solo esemplare di rinoceronte bianco, col quale si tenterà la riproduzione della specie in laboratorio. Ma perdiamo decine e decine di specie ogni anno.

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Se la situazione non cambia, e in fretta, la nostra Terra si ritroverà come il Titanic spinto a velocità folle da questa economia-politica dell’Apocalisse, e anche se i ghiacci si sciolgono, l’iceberg è lì in agguato da qualche parte. Discorso che rivolgo volentieri anche agli azionisti delle grandi imprese e multinazionali, entità che per loro natura mirano al profitto, senza interessarsi delle conseguenze delle attività che con i loro soldi stanno finanziando.
Non solo i grandi Stati operano in favore del disastro, ma anche a livello locale spesso lo sforzo è teso unicamente all’accumulo di denaro/potere passando dalla distruzione delle bellezze naturali. E qui vorrei fare l’esempio del Devero, gioiello e tesoro delle Alpi nella Valdossola, che rischia di essere ridotto ad un parcheggio e cementificato con strutture per lo sci, quando ormai non nevica più (ma possiamo usare l’acqua dolce, sempre più a rischio, per sparare neve artificiale) e quando la piccola economia del turismo dolce in quel luogo è in aumento. Aiutateci a raccogliere le firme per fermare il folle progetto: all’interno della rivista troverete il modulo per raccoglierle e poi spedircele (assolutamente entro fine Novembre).
Questa è una delle cose che, come singole persone, possiamo fare per rendere inutili gli sforzi dell’economia dell’Apocalisse. Sono tante le scelte e le azioni che possiamo portare avanti per essere vicini al nostro unico pianeta.
E faccio qualche esempio:
– scegliere energia che viene prodotta con fonti rinnovabili e non fossili;
usare i mezzi pubblici o la bicicletta invece dell’auto;
acquistare da negozi e produttori locali invece di usare la grande distribuzione;
risparmiare energia invece di consumarla;
riciclare e riutilizzare invece di produrre rifiuti;
– se possibile produrre almeno parte di ciò che mangiamo;
bere l’acqua del vostro acquedotto, più controllata e meno impattante sull’ambiente;
usare moto o auto elettriche/ibride al posto di quelle a combustione fossile; ecc…
Ma occorre fare in fretta, operare velocemente il cambiamento, la transizione, la decrescita. Oggi l’unica velocità buona nei processi politico-sociali e personali è quella legata agli interventi per le emergenze e quella per la transizione verso un’economia pulita e rispettosa di tutti quegli elementi che possono mantenere in vita l’umanità.
Iniziamo insieme, firmate la petizione e salviamo il Devero.

Articolo di Vivere Sostenibile Alto Piemonte edizione Ottobre+Novembre 2018, editoriale